interprete vs. mediatore linguistico: le differenze

Facilitare la comunicazione in un convegno internazionale. Fornire assistenza linguistica durante una trattativa d’affari. Tradurre in diretta il messaggio di un capo di Stato. Queste sono alcune delle attività svolte dai protagonisti dell’articolo di oggi: interpreti e mediatori.

Stiamo parlando di due esperti nella resa verbale coinvolti in tutte quelle iniziative che promuovono uno scambio linguistico e culturale. Professionisti che facilitano la comprensione tra due o più soggetti di lingue diverse e che operano in un’ampia cornice di ambiti: dalla comunicazione interpersonale informale a servizi molto più tecnici e professionali.

L’esigenza di parlare di queste figure professionali della mediazione linguistica nasce da un certo smarrimento notato tra i non addetti ai lavori e dal conseguente bisogno di fare chiarezza. Mi spiego meglio: a volte ricevo richieste di preventivi di traduzione da persone che in realtà stanno cercando un interprete o un mediatore. All’inizio esitano ma, una volta spiegate le macro-differenze e indirizzati verso colleghi o colleghe di fiducia, lo smarrimento lascia il posto a un piacevole senso di sollievo.

Le analogie tra queste due figure sono piuttosto immediate da comprendere, ma qual è la differenza sostanziale alla base dell’uno e dell’altro? Come si diventa traduttori e mediatori? Più in generale: come capire di quale professionista è meglio avvalersi?  Facciamo chiarezza!

Cosa fa un interprete

L’interprete è un esperto linguistico il cui ruolo è quello di fare da ponte tra interlocutori parlanti lingue diverse. La sua è una resa puntuale ed esatta. Traduce oralmente e con massima precisione un discorso da una lingua A a una lingua B, senza modificarne il contenuto. 

Una figura professionale indispensabile durante conferenze, riunioni di lavoro ma anche vertici internazionali: il suo compito consiste nell’affiancare le persone e aiutarle a trasmettere un messaggio nel modo più imparziale possibile.

L’interpretariato può essere:

  • simultaneo: l’interprete si trova in una cabina isolata dotata di consolle, microfono e auricolari che gli consentono di tradurre in tempo reale quanto riferito dall’oratore. È il caso di convegni o conferenze internazionali, ovvero quando è presente un gran numero di persone che parlano lingue diverse.
  • di trattativa: l’interprete si trova insieme agli oratori. Si tratta di una tecnica che prevede una comunicazione dialogica tra le parti. In questo caso, oltre a conoscere le lingue in questione, il professionista deve padroneggiare anche il linguaggio settoriale e la terminologia tecnica. Questo servizio viene impiegato per trattative con partner commerciali esteri, per la stipula di contratti o nel corso di fiere internazionali. 
  • consecutivo: l’interprete resta alle spalle dell’oratore, ascolta quanto detto per alcuni minuti e poi traduce il messaggio agli ascoltatori usando gli appunti presi in precedenza, senza così coprire la voce del parlante. Questo tipo di interpretariato è usato per comunicati di capi di Stato, interviste, presentazioni, tavole rotonde. Oltre alle competenze linguistiche e tecniche, risulta indispensabile che il professionista possieda buone doti comunicative.
  • chuchotage: l’interprete è seduto a fianco di chi ascolta e traduce in simultanea, sussurrando all’orecchio, quanto detto dall’oratore. Questa tipologia di interpretazione coinvolge una o due persone al massimo e la ritroviamo durante dibattiti, spettacoli o eventi pubblici e privati.

Per approfondimenti vi consiglio due link di AITI (Associazione Italiana Traduttori e Interpreti) dove troverete informazioni sulle condizioni generali di incarico e una raccolta di documenti utili per interpreti.

Come diventare interprete

Sfatiamo la credenza che per fare l’interprete basta essere bilingue: serve una formazione specifica. Chi ha già ottenuto una laurea triennale in lingue o in mediazione linguistica può specializzarsi con una laurea magistrale mirata, un corso professionalizzante o un master. In alternativa è possibile iscriversi a corsi di laurea per traduttori e interpreti come quelli offerti dalle facoltà di Trieste, Bologna o Roma.

Cosa fa un mediatore linguistico

Spesso si pensa che l’interpretariato sia sufficiente a facilitare la comunicazione, ma non è sempre così: fare in modo che le persone si capiscano significa anche tenere conto del background culturale degli interlocutori. 

La figura del mediatore linguistico-culturale, a questo proposito, si rivela di cruciale importanza: un mediatore, nonostante svolga la funzione primaria di assistente linguistico tra due o più soggetti, si occupa anche di riadattare il messaggio in funzione delle differenti implicazioni culturali. Il mediatore linguistico, attraverso l’interpretazione dialogica, lavora sul messaggio di partenza e lo modifica per facilitare la comprensione di aspetti linguistici e culturali tra persone che parlano lingue diverse. In altre parole, la sua attenzione va più al dialogo che alla traduzione.

Tra i compiti di un mediatore linguistico rientrano quelli di:

  • intervenire in contesti diversi, interculturali e interlinguistici
  • promuovere l’inclusione e l’integrazione
  • contribuire alla coesione sociale

Questa figura professionale può lavorare negli ambiti più disparati: ospedali, tribunali, scuole ma non solo. Le sue competenze sono strategiche anche in settori quali:

  • cooperazione internazionale
  • servizi sociali
  • customer care
  • istituzioni pubbliche
  • imprenditoria
  • relazioni pubbliche
  • import-export
  • turismo e accoglienza

Un esempio pratico

In certi casi, anche una piccola mossa sbagliata può avere ripercussioni sui rapporti interpersonali e lavorativi tra soggetti che parlano lingue diverse. Cerchiamo di spiegare meglio in che modo tenere conto delle implicazioni culturali che regolano la comunicazione può fare la differenza.

Immaginiamo di essere in Cina durante un incontro d’affari tra un imprenditore italiano e uno cinese: l’italiano, alla fine del meeting, porge direttamente il proprio biglietto da visita al suo interlocutore, semplicemente perché è abituato a fare così. Le norme culturali cinesi prevedono invece che l’interlocutore posi il biglietto da visita su un tavolo e sia il cinese a prenderlo. Questa usanza viene considerata un segno di rispetto nei confronti del partner, ed è proprio qui che entra in gioco un mediatore: grazie all’esperienza e alle competenze acquisite è in grado di suggerire all’interlocutore italiano il gesto migliore da compiere per soddisfare le esigenze culturali dell’ascoltatore cinese, cosa che un interprete non è tenuto a fare.

Ecco come la conoscenza della cultura e delle abitudini culturali è decisiva per una corretta resa del messaggio oltre che per evitare sgradevoli inconvenienti.

Sebbene le analogie tra mediatori e interpreti siano molto marcate, c’è dunque una sottile differenza che fa del mediatore linguistico un esperto capace di muoversi agevolmente tra una cultura e l’altra, oltre che tra più lingue.

Come diventare mediatore linguistico culturale

Il percorso di studi di un mediatore linguistico ha punti in comune con quello dell’interprete, ma si contraddistingue per un maggiore approfondimento degli aspetti culturali. Per diventare mediatore è necessario seguire i programmi di studio delle SSML, cioè delle scuole superiori per mediatori linguistici. Nello specifico esistono le lauree triennali in mediazione linguistica (come quella di Siena) e le lauree magistrali in in traduzione specialistica e interpretariato (come quella di Milano). Questi corsi hanno lo scopo di formare figure professionali versatili con competenze in ambito sociale, giuridico ed economico.

Avete dubbi o domande sull’argomento o non sapete a quale tipo di esperto affidarvi? Contattatemi per maggiori informazioni.

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Grazie per la vostra attenzione e alla prossima!