Fuori dalla mia zona di comfort per le vie di Padova: quando una trasferta di lavoro si trasforma in un percorso di bellezza e stupore

C’è un detto che recita più o meno così: “la vita inizia alla fine della tua zona di comfort”. Queste poche parole riassumono chiaramente la motivazione che spesso mi spinge a uscire dal perimetro delle mie abitudini e dei miei luoghi per esplorare territori nuovi, vicini o lontani che siano, in ambito lavorativo e non. È stato il richiamo di due fiere ad attrarmi in Veneto e a offrirmi l’occasione di scoprire Padova, città elegante e vitale, con le sue vie strette, i suoi lunghi camminamenti protetti da portici, le sue piazze monumentali e le sue botteghe caratteristiche. Così, una trasferta di lavoro mi ha regalato prospettive insolite e squarci di bellezza del tutto inaspettati.

piazza

   Definita “la città dei tre senza” – ovvero “del caffè senza porte (lo storico Caffè Pedrocchi, in passato sempre aperto), del prato senza erba (la grande piazza del Prato della Valle) e del santo senza nome (Sant’Antonio, chiamato semplicemente Il Santo)” -, Padova affonda le proprie origini nella leggenda che la vede fondata dall’eroe troiano Antenore, come riportato anche da Virgilio nell’Eneide. Sorta e sviluppatasi all’interno dei bacini idrografici dei fiumi Brenta e Bacchiglione, essa è attraversata da numerosi canali capaci di aggiungere suggestione agli scorci di un tessuto urbano già ricco di storia e di bellezza.

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   Ma da dove iniziare a parlarvi di una tale concentrazione di arte e splendore? Potrei farlo a partire dal Palazzo della Ragione, in Piazza delle Erbe, sede della quinta edizione del World Tourism Expo. Allora vi direi che fu eretto nel 1218 e sopraelevato nel 1306, e che il Palazzo accoglie la più grande sala pensile del mondo, completamente ornata da uno straordinario ciclo d’affreschi a tema astrologico risalente al XV secolo. Aggiungerei anche che al suo interno si trova un grande cavallo ligneo costruito per una giostra nel 1466, oltre alla Pietra del Vituperio, seduta obbligatoria per i colpevoli di bancarotta messi alla berlina.

cappella degli scrovegni

   Potrei passare alla Cappella degli Scrovegni, costruita nel ‘300 e nota per il magnifico ciclo di Giotto. In questo caso vi racconterei che la visita al suo interno dura circa trenta minuti ed è articolata in due fasi: prima i visitatori vengono fatti passare da un apposito locale e sottoposti a un trattamento di decontaminazione e deumidificazione, poi possono entrare nella cappella dove, per la conservazione degli affreschi, le condizioni climatiche sono tenute sotto rigorosa osservazione.

   Se poi prendessi in considerazione il Palazzo del Bo, vi direi che il suo nome è retaggio di un passato nel quale l’edificio era di proprietà di un macellaio che vi aveva aperto una locanda chiamata Hospitium Bovis (Albergo del Bove), ceduta nel 1539 all’università divenendo sua sede storica. Ma non sarebbe tutto! Mi soffermerei sul fatto che l’Università di Padova è la seconda più antica d’Italia (1222) e che proprio nelle sue aule, nel 1678, si laureò la prima donna al mondo con tesi in filosofia. Potrei aggiungere anche il racconto di un rituale antico, quello del Papiro, secondo il quale ogni neolaureato deve leggere ad alta voce e in un luogo pubblico un grande foglio di carta sul quale amici e parenti lo hanno ritratto in chiave umoristica e caricaturale. Un richiamo all’umiltà, nonché l’interpretazione della laurea come un mero punto di partenza, celato dietro a un sorriso ma valido ancora oggi.

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   Potrei parlarvi di tutto questo e di molto altro ancora, ma tralascerei gli spaccati colti nel mio girovagare per il centro storico fra una fiera e l’altra, e fra un’incombenza di lavoro e l’altra. E allora non sapreste della mia valigia viola, delle foto scattate storte sull’onda del momento, delle passeggiate al riparo dei portici, dell’edera che spuntava da un terrazzino sotto una trifora, dei colori dei mercati e di quelli dell’arte di strada, dei cosiddetti “libri germinati”, depositari di fili d’erba e fiori, riposti fra gli spazi di una vecchia grata anziché sui ripiani di una libreria. Non sapreste della Padova che ho sorpreso a scintillare sotto il cielo terso di questo settembre, lontana dalle brume che spesso l’avvolgono durante l’autunno e l’inverno, né della compagnia lenta e discreta delle sue vie d’acqua, o delle tracce romane immortalate correndo alla stazione, o dei tanti angoli caratteristici scoperti fra i vicoli dell’ex Ghetto Ebraico, o della maestosità della Basilica di Sant’Antonio, depositaria di preghiere e speranze…

“Life begins at the end of your comfort zone”, recitava il detto al quale mi sono affidata all’inizio di questo post, e ogni passo condotto per le strade di Padova mi ha confermato quanto crescita e formazione abbiano a che fare con il superamento dei nostri limiti e con la capacità di cogliere paesaggi nuovi attraverso piccoli e grandi dettagli del quotidiano.

PADOVA